Crescita e benessere personale

Quanto sei bravo ad impegnarti?

S. mette tutto se stesso nel proprio lavoro “ufficiale” così come in quello che svolge in ambito sportivo: si impegna duramente affinché tutto ciò che fa sia sempre il meglio possibile, fatica molto per ottenere i risultati desiderati e si addossa responsabilità che non sono nemmeno le sue per far sì che vada tutto bene. Non riposa quasi mai e trova sempre qualche buon motivo per assumere nuovi impegni. Ha imparato che nella vita nulla si ottiene senza sforzo ed è diventato bravissimo a “darci dentro”, ad impegnarsi al massimo – molto spesso fin troppo – in tutto ciò che fa.

Come tanti altre persone, S. ha quella che in Analisi Transazionale è la spinta denominata “Dacci dentro” oppure “Sforzati“, ovvero ha ricevuto dai suoi genitori il chiaro messaggio che l’unico modo per raggiungere un obiettivo sia impegnarsi fino allo sfinimento.

Se non ti impegni fallisci

Chi – come S. – vive questa spinta crede che la vita vada affrontata con sacrificio e con impegno, in altre parole crede che bisogna sempre dare il massimo in ciò che si fa, che per ottenere le cose bisogna fare fatica, perché quello che è raggiunto senza un forte impegno non ha valore. Ciò le porta a dare il massimo in tutto quello che fanno, solo che poi molto spesso il risultato ottenuto con tanto sforzo non viene considerato abbastanza importante, non corrisponde a ciò che si può/vuole ottenere, anche perché di frequente la spinta “Dacci dentro” si accompagna con quella “Sii Perfetto” (di cui ho parlato qui), che porta appunto a tendere verso un’irraggiungibile perfezione. Queste persone sono sempre stressate, stanche e piene di acciacchi, ma allo stesso tempo sono sempre disponibili a dare una mano, solo che sono poco flessibili a cambiare strategia se l’obiettivo perseguito è più arduo del previsto. Inoltre tendono a impegnarsi in mille cose, senza portarle a termine tutte.

La spinta “Dacci dentro”, come tutte le altre, è un tentativo per tenerci al riparo da credenze su di noi, gli altri e il mondo associate a sentimenti dolorosi che comparirebbero se smettessimo di comportarci secondo quel programma. Nello specifico sforzarsi serve a proteggerci dal timore di fallire: ciò significa che quando la persona non si comporta seguendo questo ordine interno, contatta un emergente dolore associato alla convinzione di non valere, di essere un fallito. Il problema è che questo riparo fornito dalla spinta – oltre a non essere perenne – costituisce solo il modo migliore che abbiamo trovato per stare al mondo senza soffrire troppo e non migliora la qualità della nostra vita, anzi spesso la peggiora. Ad esempio chi si impegna al massimo per tutto quello che fa rischia fortemente di non avere tempo per altre cose, quali relazioni, hobby e interessi, oltre ad un costante senso di fatica e un’elevata possibilità di rimanere insoddisfatti.

Origine della spinta

La spinta a darci dentro nasce dal timore che i genitori hanno dell’insuccesso del proprio figlio: per paura che possa fallire nella vita, gli insegnano che la vita richiede sacrificio e fatica e che quella è l’unico segreto per raggiungere i propri obiettivi.

Non è sbagliato a priori educare all’impegno, ma è necessario educare anche a saper equilibrare quell’impegno con la capacità di riposarsi e rilassarsi: la vita non può ridursi al solo duro lavoro. Invece chi ha la spinta “Sforzati” fa propria la paura dei genitori e teme di fallire se molla anche solo un poco e per questo si priva del relax, del divertimento, delle relazioni: ha una vita in cui non esiste la leggerezza, non esiste il piacere, ma solo il dovere.

Un genitore che educa in questo modo non insegna ai propri figli ad esplorare le proprie inclinazioni, né li aiuta a comprendere cosa sono in grado di fare con “semplicità” (senza sforzo) e divertimento, ciò che gli riesce facile. L’effetto ottenuto è che quei figli diventeranno adulti testardi, tenaci, efficienti e capaci di applicarsi con dedizione a ciò che fanno, senza sapere però dove sta andando, senza chiedersi se gli piace ciò che fanno, perché quella comanda non è mai stata permessa.

Come uscirne

Vista questa situazione, per liberarsi della spinta a darci dentro per prima cosa le persone hanno bisogno di chiedersi dove porti l’impegno che stanno mettendo in campo e se sono felici di quello che stanno facendo. Può succedere a tutti di avere impegni e responsabilità poco piacevoli, ma se gran parte della vita è fatto di qualcosa che richiede sforzo e non dà alcun piacere forse c’è un problema di fondo!

In secondo luogo è bene esplorare le proprie passioni, risorse, capacità e inclinazioni, che magari fino a quel momento sono rimasti nascosti perché andavano oltre il dovere. Infine c’è bisogno di comprendere che il successo spesso si ottiene scegliendo di mettere il proprio impegno (equilibrato, non eccessivo!) in qualcosa che piace e in cui si riesce naturalmente.

Per riuscire in questi passaggi è necessario darsi alcuni permessi. Il primo è il permesso di provare piacere, senza doversi sempre e solo sforzare nella vita. In secondo luogo è utile darsi il permesso di fermarsi, di staccare dal dovere e rilassarsi, senza sensi di colpa e senza paura di fallire. Infine occorre darsi il permesso di credere che si può avere successo facendo ciò che piace e con un grado accettabile di impegno.

Perché un discreto livello di impegno è utile ad ottenere buoni risultati, ma uno sforzo eccessivo rischia di essere solo dannoso.

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