Crescita e benessere personale

La pandemia tra controllo e libertà, responsabilità e protezione.

La pandemia ha modificato le nostre vite sotto molti punti di vista, tanto a livello pratico quanto a livello mentale, specie per quel che riguarda il nostro modo di approcciarci alla quotidianità. In questo senso sono davvero molti i cambiamenti con cui abbiamo già fatto i conti e che ci troveremo ad affrontare in futuro: penso in particolare a come sia cambiata la percezione di controllo sulle nostre giornate, che di punto in bianco non abbiamo più potuto gestire liberamente ed autonomamente. E penso alla fatica che per questo motivo hanno dovuto fare le persone abituate a voler avere tutto sotto controllo, coloro che credono di dover gestire ogni dettaglio affinché tutto vada per il meglio, le quali si sono ritrovate nel bel mezzo di una tempesta che le ha scaraventate fuori dalla loro barchetta, riducendone al minimo il potere decisionale.

In effetti il virus ha avuto come effetto generale quello di toglierci il controllo almeno su alcuni aspetti della nostra vita quotidiana: da un giorno all’altro ci siamo ritrovati ad aspettare che altre persone ci dicessero cosa potevamo o non potevamo fare, andando ad assumere un potere molto elevato sui nostri movimenti, potere di cui parallelamente all’improvviso noi siamo stati privati. Non entro nel merito politico della questione, ma dal punto di vista psicologico posso affermare che da adulti ci siamo ritrovati nella condizione di sentirci come dei bambini, tenuti ad ascoltare le direttive altrui per sapere cosa fosse permesso fare.

Ci è stata tolta una fetta di libertà, quella che – ironia della sorte – riguarda proprio il controllo sulle nostre azioni (quanto meno su una parte di esse). E poco importa se sia stato per proteggere la nostra salute e quella altrui: per la parte meno razionale del nostro cervello tutto questo ha significato solo una perdita improvvisa ed imprevista di libertà, cosa che per alcuni è stata davvero difficile accettare.

Quando non tutto è sotto controllo…

Avere controllo sulla nostra vita è il traguardo che conquistiamo a fatica nell’adolescenza, è sinonimo di maturità raggiunta e poi riconosciuta dagli altri. Ha un elevato valore simbolico e, per quanto possa risultare non di rado faticoso, è ciò che ci fa riconoscere – agli occhi nostri e a quelli degli altri – come persone adulte ed affidabili. Per alcune persone esso diventa, però, una sorta di imperativo mentale che obbliga a non lasciare nulla al caso, a rincorrere una perfezione irraggiungibile, ma che appare come l’unica meta a cui ambire. Per quanto in tal modo queste persone si rovinino la vita, perché di fatto perdono la capacità di gustare la bellezza di ciò che hanno e non vedono, quella mania di controllo rappresenta per loro l’unica modalità di muoversi con sicurezza nel mondo: senza avere tutto “in ordine” si sentirebbero perse – e nella maggioranza dei casi dovrebbero fare i conti con diversi “mostri” che si agitando dentro.

E che succede se all’improvviso vengono private di quel controllo?

Se all’improvviso il potere di decidere non è più nelle loro mani, bensì nelle mani di qualcun altro, di cui magari neanche si fidano?

Come possono sentirsi quando ogni loro certezza viene scombinata e devono costruirsi di punto in bianco nuove modalità di stare nel mondo, rischiando almeno per qualche tempo di muoversi al di fuori della loro zona di controllo e – quindi – di sicurezza?

In ultima istanza: come ci sentiamo noi tutti quando non possiamo fare ciò che desideriamo o ciò che pensiamo di dover fare per colpa di circostanze esterne?

La destabilizzazione non è di poco conto e l’impatto emotivo può essere anche notevole: non tutti possediamo, infatti, la capacità di leggere adeguatamente la situazione e di farvi fronte in modo resiliente.

X in un quadrato disegnata su una lavagna

Probabilmente i “maniaci del controllo” si saranno trovati a spostare il loro focus su altri obiettivi, andando a controllare (o anche solo a desiderare di controllare) in maniera esasperata aspetti nuovi delle loro giornate o cominciando a controllare le persone che vivono accanto a loro. Oppure si saranno trovati a fare i conti con inquietudini e insoddisfazioni. Perché una volta tolta la valvola di sfogo, è molto probabile che sia venuto a galla il malessere di fondo che accompagna la loro esistenza e che il controllo mette a tacere… e non è detto che questo sia un male!

Se la libertà è senza misura…

Ma potrebbero anche aver deciso di non voler cedere ad altri il controllo. E forse proprio questa è la situazione più rischiosa: quella di chi, in spirito di ribellione e contrapposizione ad un controllo esterno, ha deciso di non rinunciare alla propria libertà e non ha prestato ascolto alle indicazioni da seguire.

Si tratta spesso di persone che anche nella vita “normale” probabilmente abusano della propria libertà a danno della sicurezza altrui (in alcuni casi, ma non per forza, al di fuori della legalità). Persone che non riescono ad accettare che siano altri a controllare specifici aspetti della loro vita o ad avere in generale un controllo anche minimo su di loro. Persone che della libertà “estrema” hanno fatto una bandiera – a patto che si parli della loro libertà.

Per quanto al momento ciò sia altamente pericoloso per sé e per gli altri, è un comportamento che comprendo nella misura in cui mi rendo conto che negli ultimi anni ci è stato inculcato che nulla vale quanto la libertà di fare tutto quello che vogliamo, come vogliamo e quando vogliamo. Come se i nostri desideri fossero l’unica unità di misura di ciò che è opportuno fare. Come se non esistessero altri criteri per valutare quali azioni intraprendere. Come se ogni limitazione della propria libertà fosse una tragedia, un alto tradimento, qualunque sia la sua motivazione.

A partire da queste premesse perché dovrei accettare di non avere pieno controllo sulla mia vita?

Perché non dovrei lottare per fare sempre e comunque ciò che voglio?

Che diritto avrebbero altre persone di dirmi cosa devo o non devo fare?

Cavallerizza sul mare al tramonto

Sono domande che appaiono una logica conseguenza dell’impostazione liberalista tipica della cultura occidentale, ma in questo discorso mancano due aspetti spesso trascurati nella nostra epoca e che forse oggi abbiamo riscoperto come fondamentali: l’educazione alla responsabilità e l’educazione alla protezione.

La responsabilità della protezione

Osservando quello che è accaduto negli ultimi due mesi, ma leggendo con sguardo critico anche altre situazioni molto lontane dall’emergenza sanitaria, ho avuto modo di rendermi conto di come sia sempre meno presente l’attenzione sana a proteggerci da ciò che può rivelarsi pericoloso. Spesso la tutela della propria salute diventa ossessione o si trasforma in fobia, dando vita a disturbi mentali più o meno gravi, mentre nelle persone non patologiche viene a mancare addirittura la capacità di leggere le situazioni che dovrebbero mettere in allarme. Non viene insegnato come proteggersi e da cosa proteggersi, quasi come se farlo significasse porre dei limiti alla propria libertà, limiti che vengono oggi ritenuti inaccettabili. Sembra che l’unico valore realmente importante sia appunto la libertà personale, in nome della quale vale la pena anche correre dei rischi o mettersi seriamente in pericolo.

Mi chiedo allora che peso diamo alla libertà? Maggiore di quello della nostra salute o della nostra vita? Maggiore di quello della vita o della salute altrui?

Come posso vivere la libertà in un mondo in cui non esisto solo io?

Perché le libertà che alcuni si sono presi in questo periodo corrispondono fondamentalmente con il mettere a rischio la salute propria ed altrui! Ma prese dal desiderio di non sottomettersi al controllo altrui, molte persone non hanno considerato questo aspetto della questione. Proprio come gli adolescenti ancora irresponsabili che non sanno controllare le proprie azioni e le proprie reazioni, che pensano solo al proprio benessere, dimostrandosi inaffidabili – oltre che pericolosi.

Imparare e mettere in atto la protezione, invece, è un modo per volersi bene, per prendersi cura di sé e, in relazione all’altro, per volergli bene e prendersi cura di lui. Vuol dire essere affidabili, ossia persone di cui fidarsi e a cui affidarsi, se necessario. Non significa rinunciare alla libertà, ma gestire le proprie azioni in vista del benessere, proprio ma anche altrui, senza cadere nel controllo assoluto e patologico di ogni dettaglio. Chiaramente ciò richiede maturità, ma richiede anche un’adeguata educazione. Che passa necessariamente attraverso l’educazione alla responsabilità

Purtroppo, però, come non ci viene insegnato a proteggerci, oggi molto spesso non ci viene insegnato neanche che dobbiamo essere responsabili delle nostre azioni, di fronte a noi stessi e di fronte agli altri. Non ci viene insegnato a sentirci responsabili e ad assumerci delle responsabilità; si fa a gara, piuttosto, a sottrarsi alle proprie responsabilità, incuranti delle conseguenze per gli altri. Probabilmente molto spesso gli altri non vengono neppure presi in considerazione al momento di calcolare le conseguenze delle proprie azioni.

Già altrove (guarda qui) ho definito la responsabilità come la volontà di impegnare la propria libertà per qualcosa, di assumere volontariamente dei limiti e darsi dei confini in cui muoversi per un bene maggiore. Essere responsabili significa non ergersi a misura di tutte le cose, ma riconoscere che ci sono valori più assoluti, che possono guidare la propria esistenza e a cui si può dedicare la propria vita. Scegliere di usare la propria libertà per qualcosa, nella consapevolezza che una libertà assoluta ed assolutizzata potrebbe essere pericolosa per se stessi e per gli altri.

Se uniamo il concetto di responsabilità e quello di protezione, appare evidente che non avrebbe alcun senso scegliere di mettere in pericolo se stesso o un altro pur di non rinunciare alla propria libertà. Ma questo lo possiamo comprendere solo se smettiamo di insistere sulla libertà personale – a livello educativo così come a livello politico, economico e filosofico – ed iniziamo ad insegnare che essere liberi richiama una personale responsabilità sulle azioni che compiamo. Responsabilità che ha necessariamente due facce: verso me stesso e verso gli altri.

In fondo potremmo dire che la responsabilità è un altro nome della protezione: se sono responsabile è molto probabile che tenda a proteggere tanto me quanto gli altri da situazioni pericolose o dannose. E che declini la libertà nel suo senso più bello: occasione per fare cose buone per me stesso e per le persone a me care.

Perché la mia libertà finisce dove inizio ad arrecare danno a te (ma anche a me stesso).

Sarebbe bello allora che la pandemia ci lasciasse in eredità la scoperta che siamo tutti capaci di protezione e responsabilità – e quindi di vivere relazioni sane – piuttosto che renderci tutti “pesci” alla ricerca della propria boccata di “libertà senza scrupoli”, usata magari solo per mantenere un controllo perenne su vecchie abitudini ormai prive di senso.

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