#femminismopedagogico

Possesso, gelosia e controllo non fanno rima con amore

(…) l’amore non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio. L’amore – quello vero – è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità. 

Sergio Mattarella

Le parole del Capo dello Stato nel discorso di fine anno evidenziano in modo lucido da un lato quella che molto spesso è la realtà di relazioni patologiche, eppure molto comuni, e dall’altro quelle che dovrebbero essere invece le caratteristiche di relazioni sentimentali sane.

L’amore puro – sicuro – si nutre di reciprocità, di gratuità, di accettazione e valorizzazione dell’altro in tutte le sue sfaccettature. Dona libertà all’altro e gli permette di portare a piena realizzazione le sue potenzialità, gode dei traguardi dell’altro e rispetta le sue scelte, anche quando mettono la parola fine alla relazione.

L’amore malato – insicuro – ha, invece, una costante paura di perdere l’altro, gli tarpa le ali nel timore che possa volare via, biasima costantemente ciò che è e non sostiene il suo cammino di crescita. Tiene stretto l’altro a sé, considerandolo quasi una sua proprietà, e non accetta le differenze. Fin troppo spesso non è in grado di accettare che l’altro decida di allontanarsi, con le conseguenze che leggiamo sui giornali.

Il possesso

Canzoni, romanzi e film spesso esaltano quel tipo d’amore che corrisponde all’idea di possesso dell’altro: “sei mia e di nessun altro” (o “sei mio e di nessun’altra”) diventa allora la frase romantica per eccellenza di una certa tipologia di testi. E per quanto possa essere decisamente normale desiderare di non essere traditi, quello che si rischia di perdere di vista adottando una simile visione è che ogni persona appartiene solamente a se stessa.

Perché se io sento di appartenere a qualcuno, come un oggetto a sua disposizione, perdo la libertà di essere e diventare ciò che voglio. Perdo la possibilità di scegliere per me, indipendentemente dai desideri altrui, che non sempre vanno nella direzione di ciò che è bene per me. Perdo la mia indipendenza, la mia autonomia.

Per secoli è stato proprio questo il destino delle donne: diventare da oggetto a completa disposizione dei genitori a oggetto a completa disposizione del marito. Senza che si tenesse minimamente conto della loro volontà, anzi usandole il più delle volte come merce di scambio. Per comprendere la portata del loro “annullamento” come persone, basti pensare che nei paesi anglosassoni la donna sposata non prendeva solo il cognome del marito, ma diventava – ad esempio – la “Signora John Smith”, assumendo cioè nome e cognome del marito al posto dei propri: perdeva la propria identità a favore di quella di colui che aveva sposato. Esisteva solo in quanto suo possesso, non era altro che quello.

Le abitudini sono dure a morire e quindi, per quanto oggi la donna venga intesa come possesso del suo uomo in un’accezione fortunatamente molto diversa da quella precedente, questa idea che resti in qualche modo a sua disposizione permane.

Ma noi possiamo possedere gli oggetti, non le persone: bisogna allora credere che in quanto donne siamo considerate ancora oggetti? E soprattutto: siamo disposte ad accettare di essere viste in questo modo dal nostro partner?

La gelosia e la violenza

Canzoni, romanzi e film oltre a farci passare come normale l’idea di possesso, molto spesso esaltano come dimostrazioni di grande amore le scenate di gelosia, anche quando immotivate. E considerano normale che quella gelosia diventi violenza, verso il presunto amante ma anche verso chi dovrebbe essere l’amato.

Questa esaltazione della gelosia come qualcosa di romantico da un lato parla di mancanza di fiducia, dell’incapacità di dialogare con sincerità e di comprendere le ragioni per cui una persona agisce in un certo modo, dall’altro continua a porre l’accento a sull’idea che l’altro sia un possesso e come tale non abbia la libertà di avere scambi relazionali con altre persone.

La normalizzazione della violenza che da tale gelosia nasce, poi, impedisce di comprendere come una persona violenta possa esserlo anche nei confronti di chi dice di amare, non permette di cogliere segnali che indicano che è necessario fare attenzione e magari allontanarsi. Perché la violenza non può mai essere la soluzione ai problemi, qualunque sia la loro natura!

Se è vero che può essere naturale essere gelosi (per quanto la gelosia nasca sempre da una mancanza di fiducia, propria di un amore fragile), è vero anche che essere gelosi senza prove è patologico. Di fronte a un sospetto si può parlare e se non si è convinti di quello che l’altro dice si può agire di conseguenza, mettendo fine ad una relazione in cui non si riesce ad avere fiducia nel partner. Ma mai la gelosia deve poter diventare la scusa per agire in modo violento, forse perché ci si sente feriti nell’orgoglio.

Ha senso allora sentirsi lusingate da un simile sentimento del nostro partner? E’ davvero questo il modo migliore per dimostrare che ci ama?

Il controllo

Purtroppo molto spesso la tendenza a trattare l’altro come un proprio possesso, unita alla gelosia, conduce verso il tentativo di controllare la vita del partner. Chiaramente un simile comportamento nasce dall’insicurezza di chi lo mette in atto e dalla sua mancanza di fiducia, ma viene fatto passare come ulteriore dimostrazione d’amore e della volontà di non separarsi mai da chi si ama.

Ecco allora che si vuole sapere con chi l’altro si sente, con chi si vede, dove va e quando ci va. Poi magari iniziano i commenti negativi sugli amici e sulle attività svolte, per finire con il consiglio (se non addirittura l’ordine) di non vedere più nessuno e non fare più niente: del resto se ci sono io che ti amo, che bisogno hai degli altri?

La realtà è che quando si ama in modo sano e si ha fiducia nell’altro, non si ha alcun bisogno di controllarne o limitarne le possibilità di azione. Non gli si impedisce di uscire con gli amici perché si è consapevoli che in una coppia ogni partner ha bisogno di spazi comuni così come di spazi personali.

Se invece si crede che il partner sia una propria proprietà e non si sopporta che altri gli si avvicinino, allora si inizia a limitarne la libertà, a controllare ogni sua azione e facilmente si può arrivare ad usare vari tipi di violenza (verbale, psicologica, economica, fisica) per costringerlo a fare ed essere ciò che si vuole.

Subire il controllo di un partner significa vedersi togliere la libertà, significa perdere l’autonomia e l’indipendenza, significa non poter essere se stessi: dopo secoli che come donne abbiamo subito tutto questo perché non c’erano alternative possibili (almeno non c’erano per tutte), non è accettabile che oggi accada ancora qualcosa di simile!

Non è questo l’amore che ci meritiamo, perché non è questo il vero amore, quello sano.

Un amore sano

Amare non è possedere e credere che l’altro sia una proprietà privata a cui nessun altro può avere accesso.

Amare non può mai andare a braccetto con l’usare violenza, di qualsiasi tipo essa sia, né con il controllare il partner.

L’amore sano è accogliere l’altro come è e aiutarlo a diventare la miglior versione di se stesso, mentre si cresce a propria volta.

E’ reciprocità di sentimenti, di fiducia, di rispetto e dono di sé.

Chi ama rende libero e si sente libero. Non incatena e non si lascia incatenare. Perché l’amore sano è scegliersi reciprocamente giorno dopo giorno, nella consapevolezza che non si è perfetti ma che sono proprio quelle imperfezioni a rendere la relazione reale.

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