#femminismopedagogico

La rabbia (inespressa) delle donne

“Come sei acida, non ti si può dire niente! E fattela una risata!”

“Ma da quand’è che non sc@@@?!?!”

“Una principessina non si arrabbia mai!”

Se sei donna, probabilmente in qualche momento della tua ti è stata rivolta almeno una di queste frasi. Perché l’idea diffusa è che le donne non debbano arrabbiarsi e, soprattutto, non debbano manifestare la propria rabbia apertamente, men che mai davanti ad un uomo. E’ per questo motivo che ciò per cui un uomo viene apprezzato e ritenuto “tosto”, in una donna è visto come aggressività da biasimare ed eliminare, ed è sempre per questo motivo che alle ragazze si insegna a non esprimere ciò per cui i ragazzi vengono elogiati!

Quindi ad uomini che sono educati a coprire tristezza e paura con la rabbia (puoi andare a vedere qui e qui cosa intendo), per dimostrarsi forti e sicuri di sé, si contrappongono donne che possono essere tristi e anche spaventate, ma mai arrabbiate. Esploriamo meglio questa dinamica.

Educazione emotiva al femminile

Molto spesso l’educazione emotiva che riceviamo da piccoli è differenziata in base al genere di appartenenza: questo è il motivo per cui le bambine hanno il permesso di farsi vedere tristi o spaventate, trovando facilmente qualcuno disposto a prendersi cura di loro, ma mai arrabbiate, perché la rabbia non è un’emozione adatta alle donne e vengono rimproverate se la mostrano.

Immaginate ora una bambina che vuol far valere le proprie ragioni quando le è stato tolto un gioco con la forza: di solito quello che le viene detto è che non sta bene usare certi toni, che una bambina deve essere educata e “carina”, senza “andare sopra le righe”. E spesso quello che succede dopo che una scena del genere si è ripetuta, è che di fronte ad un’angheria una bambina cominci a piangere, senza tentare di agire da sola per farsi rispettare, aspettando che altri intervengano al suo posto. In altri termini le bambine imparano a coprire la propria rabbia con la tristezza o la paura, il che implica che non saranno mai in grado di far rispettare i propri diritti, cosa che del resto alla cultura patriarcale ha sempre fatto comodo!

Chiaramente questo tipo di educazione emotiva impedisce alle donne (così come agli uomini, per altri versi) di mostrarsi in modo autentico e di essere persone complete, intere ed integre. Perché nella misura in cui l’emozione mi aiuta a comprendere cosa sto vivendo, se nego un’emozione e la copro con un’altra, mi privo della possibilità di fare ciò che mi è utile e nascondo una parte di me anche ai miei occhi.

Nello specifico, per le donne coprire la rabbia può significare non essere in grado di riconoscere che alcuni dei propri diritti vengono calpestati. E dal momento che nella società maschilista sono tanti i diritti delle donne messi in un angolo, se non si può sperimentare la rabbia, diventa complicato farsi rispettare, così come diventa difficile difendersi da ciò che ci impedisce di realizzarci, da ciò che può danneggiarci, ma anche dalle persone che limitano la nostra libertà. Del resto il cortocircuito è proprio qui: le donne arrabbiate sono state – e tuttora sono – una minaccia per la cultura patriarcale e per questo la rabbia femminile è stata nei secoli – e ancora oggi è – arginata attraverso l’educazione. A danno delle donne, chiaramente!

Senza la possibilità di contattare la rabbia, infatti, può succedere che la tristezza invada la vita delle donne e chi è triste cerca la vicinanza di qualcuno, che magari è proprio la persona da cui invece bisognerebbe allontanarsi. Oppure la rabbia può essere sostituita dalla paura, per cui si cerca rassicurazione, ma l’unico vero pericolo che si sta correndo è quello di non poter essere pienamente se stesse. O ancora la rabbia può tramutarsi in vergogna e in senso di colpa, che sono sensazioni ben note alle donne, che agiscono per limitare o impedire di fare quel che si desidera in nome di un presunto dovere che andrebbe messo prima di ogni altra cosa.

Dalla rabbia al senso di colpa il passo è breve

Nelle donne il senso di colpa in particolare può diventare estremamente pervasivo e il più delle volte va a prendere il posto di quella rabbia che ci è vietato sperimentare. Molto spesso, infatti, quando ci capita di non riuscire a trattenerci e di essere arrabbiate (magari anche per un giusto motivo!), immediatamente slittiamo nel sentirci in colpa per quello che stiamo sperimentando, proprio perché siamo state educate a considerare la rabbia come qualcosa di profondamente sbagliato e inadeguato.

Chiaramente le cose non stanno così: non c’è nulla di sbagliato in nessuna delle emozioni! Le emozioni sono neutre, hanno tutte lo stesso valore, perché ci informano di quello che ci sta succedendo, e nessun essere umano può imporsi di non sperimentarle semplicemente perché qualcuno vuole così. E anche quando proviamo a coprirle con altre emozioni, questo non vuol dire che quell’emozione non esiste più, ma solo che non la riconosciamo. Con tutto ciò che ne consegue.

Il problema è che a noi donne viene insegnato che la rabbia è una cosa brutta e che dobbiamo vergognarcene, che dobbiamo sentirci in colpa per il fatto di provarla, come se noi ne fossimo responsabili, mentre la realtà è che è una reazione istintiva su cui non abbiamo controllo. La nostra rabbia, come tutte le altre emozioni, dipende dalle situazioni in cui ci troviamo e ciò che noi possiamo controllare è solo il comportamento che mettiamo in atto quando siamo in preda all’ira. Ma invece di essere aiutate a incanalare quello, si preferisce dire che la rabia va eliminata.

Si comprende allora, quanto l’educazione che riceviamo rischi di essere una gabbia piuttosto stretta, da cui può essere difficile liberarsi.

Libere dal senso di colpa, libere di essere arrabbiate

Possiamo tranquillamente concludere che il senso di colpa originatosi dal divieto di sperimentare la rabbia sostanzialmente ci impedisce di agire nella direzione del nostro benessere (e dei nostri diritti). Nel passato tutto questo è coinciso con il poter tenere le donne sotto controllo, impedendo loro di realizzare le infinite potenzialità di cui siamo sempre state portatrici. Ed oggi? Sta a noi decidere di uscire dalla gabbia, scegliere chi e cosa vogliamo essere, ponendoci al di fuori del controllo maschile.

Come?

Dandoci quei permessi che nella nostra infanzia ci sono stati negati, a partire dal permesso di arrabbiarci e di far sentire (con educazione ed assertività!) la nostra voce. O dal permesso di riconoscere che abbiamo un valore e che possiamo impegnarci per realizzare quel valore. O ancora dal permesso di sbagliare senza farci subissare da sensi di colpa più grandi di noi.

Chi dice che non dobbiamo astenerci da alcune azioni o che non abbiamo il diritto di sperimentare alcune sensazioni? Nessuno! E se qualcuno ce lo ha fatto credere in passato, era in errore: noi siamo libere di fare, pensare e sentire quello che riteniamo giusto per noi (e rispettoso nei confronti degli altri)!

Non è semplice, perché quando alcuni comportamenti diventano automatici stopparli e modificarli richiede un forte impegno e una grande costanza difronte ai primi – inevitabili – fallimenti. Ma ne va del nostro benessere e della nostra possibilità di realizzarci, per cui direi che è un impegno che vale la pena assumere (e se è necessario, vale la pena anche farsi aiutare da un esperto a portarlo avanti).

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